Si. Io credo ai miracoli. Ne ho le prove.
Oggi è il compleanno di mio padre, e se posso festeggiarlo lo devo solo a un miracolo.
Capita all’improvviso e ti ritrovi proiettata in una dimensione ignota dove il tempo ha un peso specifico strano, e viene misurato dalla frequenza cardiaca: le ore sembrano secondi, i secondi sembrano ere geologiche solo a seconda di quanto ti batte forte il cuore.
Quest’anno avevamo deciso che a Pasqua saremmo rimasti a Lecce solo qualche giorno, non ho fatto le mie solite valige da transumanza, siamo partiti così come eravamo, solo con un carico di uova di cioccolata da regalare a ognuno.
Siamo arrivati di notte, stralunati dopo 13 ore di viaggio in macchina.
Mio padre ci aveva atteso ancora sveglio per salutarci, per abbracciare il suo nipotino.
L’ho visto strano, non pronunciava perfettamente le parole. Nulla di che, ma…
L’indomani ho deciso di portarlo al Pronto Soccorso nonostante non fosse per niente d’accordo. “E’ Pasqua -mi diceva – ci faranno solo perdere tempo!”
E’ iniziato tutto cosi.
Varcata la soglia del Pronto Soccorso ho perso la cognizione di tempo e luogo.
Non ho piu distinto le notti e i giorni tutto si è dilatato e trasformato: l’ansia è diventata terrore, la speranza tenacia, la stanchezza forza, il sonno veglia.
La gravita di certi eventi non ti è chiara subito: ti si insinua sotto pelle lentamente, la percepisci dalle facce di chi ti sta accanto, dai loro sguardi perplessi, dalle bocche mute e strette, dalle parole compassionevoli, ti si attacca addosso e ti corrode l’anima pian piano.
Poi all’improvviso, quando metabolizzi, ti senti annichilito.
Io pensavo saremmo tornati a casa subito, che quella sarebbe stata solo una banale visita di controllo e invece da quel giorno ho fermato il respiro e pregato ogni minuto che non fosse l’ultimo.
Sono passati più di quindici giorni e ogni giorno continuo a ringraziare il Signore perché ho un giorno in più.
Ci sono stati momenti in cui, lo ammetto ho pensato al peggio, attimi in cui mi si paventavano pensieri spettrali e cancellavano tutto dalla mente, oppure momenti in cui con una razionalità glaciale elaboravo liste di cose da fare in caso estremo.
Poi cercavo di tornare presente a me stessa ripetendo come un mantra qualsiasi preghiera ricordassi per esorcizzare la paura.
Nelle attese nei corridoi ho imparato ad osservare tutto.
Il tempo, ad esempio. Il tempo in certi luoghi è elastico: si fa infinitamente lungo quando aspetti una notizia positiva, e diventa un attimo quando vorresti non finisse mai.
Questo tempo, di notte, quando non vedi l’ora che arrivi il giorno che ti fa sentire ingenuamente più sicura, sembra rallentato.
Mentre attendi l’alba tieni gli occhi fissi sulle lancette e sul respiratore per scandire i minuti, apri e chiudi gli occhi per farli andare più veloce.
Questo tempo quando le palpebre scendono per la stanchezza, diventa soffice e sembra che un minuto si dilati e serva per ritemprare mente e corpo neanche fosse un’ora.
In questo ospedale di provincia ormai trascorro molto tempo, e in questo tempo e in questi corridoi illuminati dalla luce fredda dei neon ho scoperto quanto calore emanino i cuori delle persone.
Perché in questi luoghi, dove fai l’abitudine alla sofferenza, trovi anche il tempo di scherzare e stringere in un abbraccio perfetti sconosciuti che non hai mai sentito più vicini.
E qui ho imparato che il vero miracolo lo fanno le persone non le macchine.
Oh certo, la medicina, gli antibiotici, le cure e la scienza. Come faremmo senza i progressi di tutto questo?! Grazie alla medicina possiamo essere vivi e sani.
Eppure c’è qualcosa che va oltre, c’è un punto dove la medicina si ferma.
Il vero balsamo dell’anima sono le emozioni, l’amore, le vibrazioni positive che solo gli essere umani sanno regalarti.
Io abituata a cazzeggiare nella mirabolante Milano piena di eventi e facce sorridenti, di cose tutte “super cool” , “wow”, “top”, dove se sbagli una nuance di lipstick o la misura del tacco è una tragedia, dove scrivere un pezzo equivale quasi sempre a un’operazione a cuore aperto ed è tutto urgente per ieri, ho smesso di sentirmi figa sol perché faccio la giornalista.
Osservando la pazienza e la devozione di medici e infermieri mi sono sentita piccola e ridicola.
Sembrano tutte frasi fatte, scontate lo so, ma sono tante, troppe le cose che diamo spesso per scontato.
Come i sorrisi. In questi posti ogni sorriso vale doppio soprattutto quando lo scambi con chi sta patendo come te, o forse più di te. Qui una pacca sulla spalla ti aiuta a superare una notte che sembra infinita, qui tutto è “altro”.
Qui non fai a gara a chi è più bello, meglio vestito o più ricco, qui sai che ognuno ha la sua croce e che solo tutti insieme possiamo renderle meno pesanti.
Ah, quante persone ho scoperto in questi giorni!
Quanto amore mi è stato donato.
Quanti piccoli gesti ho imparato ad apprezzare.
Come l’inserviente che ti recupera i biscotti gluten free perche “hai fatto la notte e qualcosa devi mangiare”….
O Paolo, il ragazzino del letto accanto a mio padre, che ha dormito con la luce accesa pur di farmi stare tranquilla mentre vegliavo papà.
Antonio, il gigante buono, l’infermiere dal fisico possente che speri possa distruggere con la sua forza le tue paure e che ogni due ore di notte passa a rassicurarti e controllare tuo papà perché sa che tu gli occhi non li chiudi.
Le infermiere giovanissime Lara, Jessica, Maria Assunta che sembrano bambine ma ti rassicurano come madri e al mattino ti portano il caffè e te lo lasciano vicino perché alle 6 ti sei appena assopita.
E poi ci sono i medici, quelli freddi e glaciali che ti sfilettano il cuore e quelli costretti a dirti la verità ma che poi ti rassicurano con un abbraccio, come Stefano, il neurochirurgo dagli occhi verdi come la speranza, che doveva prepararci al peggio prima di operare, ma che giorno dopo giorno, ha trovato sempre il modo di farmi un cenno nei corridoi per rassicurarmi.
O il neurologo Antonio, che chiama papá “giovanotto” e riesce a farlo sorridere e ti ringrazia, lui ringrazia te.
E poi ho ritrovato gli amici e assaporato l’amore che mi è piovuto addosso come un temporale inaspettato.
Papà se è ancora qui lo deve alla tenacia del suo amico d’infanzia Rocco che ha passato la Pasquetta e ognuno di questi 15 giorni a mettere sottosopra l’ospedale per farlo curare.
I suoi amici sono arrivati in silenzio, a volte aspettavano fuori dal reparto e lo scoprivo solo dalle infermiere che erano passati senza entrare, solo per sapere come stava.
E i miei amici, ma anche gli sconosciuti, tutti quelli a cui non ho nemmeno mai stretto la mano ma che mi seguono sul blog e che mi sono stati vicini.
Quei messaggi, quelle telefonate, quelle preghiere ma anche i silenzi mi hanno dato la forza di non mollare e stanno aiutando papà a resistere e guarire.
Io davvero non pensavo di scoprire tutto questo affetto.
Me lo potevo aspettare dai parenti, e anche loro si sono superati creando una rete di salvataggio che ci ha tenuti tutti a galla quando potevamo precipitare tutto in nome dell’amore.
E di amore ne ho avuto tanto, da ogni parte del mondo.
Mi sono sentita al sicuro, nonostante tutto.
Ecco, il miracolo.
Io ci credo.
I miracoli sono le persone che con i loro gesti innescano una spirale positiva, il miracolo è la forza delle preghiere e l’amore, nelle sue molteplici forme che è l’unica medicina capace di guarire e curare.
Certo non è tutto così semplice, ci sono anche gli infermieri sgarbati o frettolosi, i medici superficiali e stitici, ci sono le giornate no e quelle in cui la paura prende il sopravvento e ti immobilizza, ci sono anche quelli che consideri amici che vorresti accanto e che invece chissà perché spariscono.
È la solita storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Sono sempre stata quella che tende a vederlo mezzo vuoto, confesso, ma in questa situazione ho imparato a guardare tutto da una nuova prospettiva: non importa se il bicchiere sia pieno o vuoto a metà, l’importante è avere un bicchiere in cui bere, e dell’acqua per dissetarsi, pur poca che sia.
Sì, io credo nei miracoli.
La strada è ancora lunga ma se oggi posso festeggiare il compleanno di mio padre e ogni giorno che Dio vorrà donarmi insieme a lui, lo devo a un miracolo, quello dell’amore che ci ha circondati e ha guidato la mano dei medici.
E voglio dire GRAZIE a tutte le persone che hanno trovato il tempo di dedicarmi un pensiero in questi giorni bui: vorrei elencarvi tutti ma questo post diventerebbe infinito, per me siete come le stelle del firmamento e il mio cuore è il cielo che si è illuminato grazie a voi.
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